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«La ristorazione è come l’arte: occorre sensibilità»

Andria, anni ‘90. Tre fratelli appena adolescenti, appoggiati alla Fiat 127 del papà, aspettano che lui finisca di lavorare nei campi. Stringono un patto, con la solennità dei giuramenti dei ragazzini di quell’età: partiranno per seguire ognuno le proprie aspirazioni, e si promettono che, un giorno, si ritroveranno lì per dar vita al sogno comune:…

Andria, anni ‘90. Tre fratelli appena adolescenti, appoggiati alla Fiat 127 del papà, aspettano che lui finisca di lavorare nei campi. Stringono un patto, con la solennità dei giuramenti dei ragazzini di quell’età: partiranno per seguire ognuno le proprie aspirazioni, e si promettono che, un giorno, si ritroveranno lì per dar vita al sogno comune: un ristorante tutto loro.

Trani, gennaio 2020. I tre fratelli Sgarra, Felice (chef), Riccardo (direttore di sala) e Roberto (sommelier), dopo formazione ed esperienze brillanti in giro per l’Italia e per il mondo, e dopo il primo ristorante ad Andria (una Stella Michelin nel 2013), aprono “Casa Sgarra”. Fra primo e secondo lockdown, il primo anno hanno lavorato circa tre mesi e mezzo in tutto. Ma sono bastati perché Felice riconquistasse la Stella Michelin. Oggi, non solo Casa Sgarra è attiva ma la storia di famiglia, a gennaio 2021, si è arricchita di un nuovo capitolo: “Starpops”, la loro “stella popolare”, ovvero un bistrot attiguo al ristorante, guidato dalla sorella Mariateresa con il suo compagno Roberto Pesce, lo chef Giovanni Di Palma, il secondo chef di Casa Sgarra Nicola Gentile e il mastro pastaio Michele Paradiso.
Felice Sgarra, più che una storia di ristorazione, il vostro sembra un romanzo.
«Siamo un gruppo, non solo di famiglia, composto da tutte le persone con cui lavoriamo. Oggi non si fa nulla se non in condivisione, sia delle gioie, sia degli oneri; è indubbio che, per lavorare bene, c’è bisogno di una squadra. È un lavoro bellissimo ma difficile, che richiede un impegno abnorme per affrontare le difficoltà con umiltà ed eleganza».
Per la Stella Michelin?
«La stella è un riconoscimento importante, ma non vuol dire “onnipotenza”. Ancora oggi a 40 anni, mi piace cucinare e cerchiamo di portare avanti il concetto semplice di“fare bene”. Certo, la tecnica è importante, ma è la coccola al cliente che conta, il cuore che si mette nel fare e l’ispirazione del dare amore. Alla fine, ci sediamo a tavola per star bene, e questa è l’unica cosa che conta: regalare un’emozione, non il piatto eclatante».
Come si fa a condurre al successo un ristorante come il vostro?
«Chi tiene davvero le redini è chi ci accompagna, sia al lavoro, sia nel privato, chi ti sta accanto e ti fa dire che stai facendo bene. Mio figlio, mia figlia, i miei nipoti, ci vedono uscire la mattina e non sanno a che ora torneremo. Loro sono il nostro futuro. Non cerchiamo di spianare loro la strada ma di portar loro il credo del lavoro e dell’impegno personale; è difficile ma, come diceva mio padre “ho fatto tutto questo, ma l’ho fatto con le mie forze”. Bisogna capire che nell’alta ristorazione, anche dietro un piatto di spaghetti c’è tanto sacrificio, tempo e passione. Dietro un piatto non c’è solo lo chef ma la tutta la sua storia».
Nella storia di Felice c’è l’aiuto al papà nei campi fino ai 13 anni, a 14 la scuola alberghiera a Roccaraso, a 15 la prima esperienza, da solo, all’Isola d’Elba, dove dormiva in un bungalow senza corrente. «Avevo fame di sapere e sono andato a cercarmelo. Nessuno ti regala niente». L’amore per la Puglia e i suoi prodotti, per la famiglia, il rispetto per chi lavora in squadra con lui e per la vita in generale hanno fatto il resto. «Ero all’Aquila quando c’è stato il terremoto, ma lì l’evento era naturale. Vedere oggi, con la guerra, che dietro la distruzione c’è la mano dell’uomo, che i bambini devono scappare dalla loro casa è inaccettabile». Come era inaccettabile l’anno scorsoil dramma dei bambini e delle bambine afgane: con la sua famiglia, unendo le risorse di Casa Sgarra e Starpops, ha deciso di devolvere loro, attraverso Save the Children, il ricavato delle vendite del loro gelato, il Trenocelle tipico di Andria, che per fratelli e sorella Sgarra ha il sapore dell’infanzia: era il loro “premio della domenica”.
Cos’è per lei la ristorazione?
«È un credo. Nella bellezza. Che, come l’arte, non è da capire, è un filo di sensibilità. È non sentirsi mai arrivati, e trasformare ogni complimento che si riceve nell’energia che ti permette di continuare a perseverare, a fare sempre meglio. La perfezione non esiste, ma esiste la motivazione a far bene».
È con questo spirito che Felice entra in cucina tutti i giorni, che ha conquistato la Stella Michelin, che sostiene la crescita del suo secondo chef, come quella di ragazzi e ragazze che hanno la fortuna di averlo come insegnante nelle scuole alberghiere e che stimola a costruire il proprio personale a saper fare e a farlo al meglio. Con le proprie forze.

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