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Test di Medicina, Bronzini: «Bene discuterne ma servono più borse di specializzazione»

«Va bene discutere del numero chiuso, della sua eventuale abolizione o della sua revisione. Ma per salvare la sanità, e per garantire un’istruzione sempre all’avanguardia, occorre incrementare le borse di specializzazione medica». A dirlo è Stefano Bronzini, rettore dell’Università di Bari “Aldo Moro” che traccia, dopo il test d’ingresso a Medicina e il dibattito sulla…

«Va bene discutere del numero chiuso, della sua eventuale abolizione o della sua revisione. Ma per salvare la sanità, e per garantire un’istruzione sempre all’avanguardia, occorre incrementare le borse di specializzazione medica». A dirlo è Stefano Bronzini, rettore dell’Università di Bari “Aldo Moro” che traccia, dopo il test d’ingresso a Medicina e il dibattito sulla sua eventuale abolizione, un quadro lucido delle esigenze dell’istruzione universitaria e delle necessità della Sanità.

Come sono andati i test?

«Negli spazi della nostra Università, tutto è filato liscio, nonostante l’alto numero di studenti. Non abbiamo avuto problemi di organizzazione, di tempistiche e quant’altro. Proprio per questo voglio cogliere l’occasione per fare i miei complimenti ai colleghi e ai tecnici che hanno messo su una macchina efficiente che ha funzionato senza intoppi».

Crescono, però, le polemiche sul numero chiuso. Lei cosa ne pensa?

«Mettere in discussione il numero chiuso si può. Tuttavia, per capire al meglio una misura di questo genere, occorre rovesciare la domanda. Non bisogna, cioè, domandarsi “come fare un test”, ma “perché si deve fare?”»

E, allora, perché si fa?

«Esiste una norma specifica che parla chiaro e che proietta la matricola già verso il tirocinio: per garantire la migliore formazione possibile a uno studente di Medicina, il rapporto tra tirocinante e posti letto deve essere di uno su tre. Anche questa norma può essere discussa o andar rivista, ma resta invariato il principio del garantire la preparazione più idonea al futuro medico».

In molti si sono espressi contro il numero chiuso: accademici, politici, scienziati. In altre parti d’Europa, d’altronde, si fa diversamente.

«Certo. Il caso che viene preso molto spesso come esempio è quello delle università francesi. In Francia, la selezione avviene in itinere. La soglia di sbarramento, cioè, viene introdotta al secondo anno: se hai fatto tutti gli esami sei dentro, altrimenti sei fuori. Ma siamo sicuri che questo sistema sia veramente più equo di quello in vigore nel nostro Paese? Io penso che sia altrettanto demoralizzante per uno studente intraprendere gli studi e poi dover mollare tutto: così si rischia di perdere due anni di formazione, e non soltanto di non passare un test di selezione».

Ci saranno cambiamenti nei prossimi anni?

«Al vaglio del Ministero ci sono delle misure che dovrebbero essere introdotte a partire dall’anno prossimo. Il candidato avrà più possibilità di risposte e un’intelligenza artificiale “fabbricherà” domande individuali».

Sarà la soluzione?

«Vedremo. Io penso che non esista una formula magica, ma credo che debbano essere avanzate delle proposte che vadano nella direzione di garantire la formazione e migliorare la Sanità. In questo senso, la soluzione c’è: il Ministero deve incrementare le borse di specializzazione. Bisogna puntare su questo: servono più medici e più preparati, in linea anche con il mondo che cambia».

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