Bello da impazzire, ma anche «folle». Il pareggio pirotecnico con la Spal lascia in dote una sfilza di indizi che ricalcano perfettamente la storia delle precedenti tre uscite in campionato. Il Bari c’è. Eccome se c’è. Ma l’eredità dei primi 360 minuti è in chiaroscuro. Il 2-2 contro gli estensi assume un valore iconico rispetto all’anima della squadra di Mignani. Famelica, cinica, implacabile, senza pietà, a tratti perfetta, come quella apprezzata per larghissimi tratti della prima frazione. Più timida e spaesata nella ripresa, ma giusto il tempo di un «cornetto e cappuccino al bar». Dieci minuti di smarrimento, culminati con tre giri di lancette fatali per subire l’«uno-due» mortifero di La Mantia e Rabbi, e mandare in fumo il vantaggio di 2-0 e la prima vittoria al San Nicola.
Stavolta il mattoncino portato a casa muove la classifica di una unità, come era successo dopo Parma e Palermo, ma lascia molto più di un amaro in bocca. «Il bicchiere non può essere mezzo pieno», ha ammesso il centrocampista Raffaele Maiello, prendendo in prestito un paradigma assoluto in materia di pareggi nel calcio. Parole che hanno fatto eco a quelle pronunciate anche dall’allenatore Michele Mignani. Il tecnico si è affidato ad un laconico «c’eravamo messi nelle condizioni di vincerla» per motivare la sua delusone.
Ad accompagnare l’amarezza è l’interrogativo, all’insegna delle incognite, più inflazionato del momento: «Qual è il vero volto di questo Bari?»
Se Cheddira, salito a otto centri stagionali, di cui tre in campionato (proprio come il «prof. Antenucci»), Folorunsho e Caprile si confermano gli ambasciatori biancorossi sul red carpet degli «Oscar» della B, la ricerca dell’equilibrio nelle due fasi è ancora il pensiero che non lascia sonni tranquilli a Mignani.
Il tecnico genovese ascrive le «lacune» in fase di non possesso non a problemi di natura tattica o tecnica, ma al «trend del campionato», nel quale le «squadre creano e concedono». Tradotto in soldoni per l’ex capitano del Siena, club che ha ritirato anche la «sua» maglia numero 4 per questione di onori, il Bari sta semplicemente subendo gli effetti del salto di categoria. Il teorema di Mignani è che rispetto al torneo di C gli «avversari abbiano più qualità e fisicità» e per questo serva «migliorare per contenerli in modo più efficace, facendoli «arrivare in area il meno possibile».
Questione dunque di una sorta di «retaggio» dettato dal triennio passato in terza serie. La squadra pugliese finora si è affidata a oltre due terzi dell’undici protagonista della promozione in Serie B. Con un impatto nella nuova categoria che si è declinato in un Bari paradossalmente più esplosivo, lì dove fino a pochi mesi fa non brillava del tutto, e al contrario soffrendo la sua virtù più grande dell’equilibrio in mezzo al campo.
La condizione fisica ancora non brillante di alcuni interpreti, le assenze pesanti in difesa (vedi Vicari, in attesa di vedere all’opera Zuzek) e l’imprescindibilità a centrocampo di Maita (decisiva in negativo la sua uscita a fine primo tempo con la Spal) hanno fatto il resto.
C’è poi il tema terzini ereditato dal mercato, con Mazzotta che nel giro di 48 ore da partente si è ritrovato ad essere titolare. Un segno di fiducia nei confronti del 33enne palermitano (non bene sul gol dell’1-2 di La Mantia), ma anche l’impronta di una piccola macchia sull’operato ancora una volta convincente di Polito.
Al netto delle analisi, suscettibili di modifiche sostanziali viste le sole quattro giornate di campionato trascorse e l’attesa per l’inserimento dei nuovi, la sensazione è di un cantiere che procede nel modo giusto. Questo Bari ha un’identità, più marcata rispetto a un anno fa, disegna calcio, diverte, emoziona. Le trasferte di Cosenza e, sopratutto, Cagliari daranno ulteriori indizi su reali ambizioni e percorso di crescita.