Nel corso di un giudizio di separazione contestava la moglie la sussistenza di altri redditi occulti del marito cui chiedeva il mantenimento.
Quest’ultimo aveva, comunque, ottemperato all’obbligo di deposito delle proprie dichiarazioni reddituali ma qualcosa non convinceva.
È opportuno ricordare che nei protocolli dei nostri Tribunali ed in genere già nei decreti di comparizione Presidenziale vige l’obbligo di deposito delle ultime tre dichiarazioni dei redditi, dei Cud e delle ultime sei buste paga.
Peraltro la legge delega per la riforma del processo civile (L. n. 106 del 2021), che entrerà a breve in vigore, nel delineare i principi e i criteri direttivi del rito unificato – denominato “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie” stabilisce che, “ove siano formulate domande di natura economica, il legislatore delegato dovrà prevedere che le parti debbano depositare le denunce dei redditi e la documentazione attestante le disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie degli ultimi tre anni, prevedendo anche di sanzioni per il mancato o incompleto deposito”.
Un obbligo di lealtà processuale che viene anche assicurato con sanzioni pecuniarie che potrebbero essere anche salate e probabilmente direttamente proporzionali alla gravità delle omissioni od inosservanza dell’obbligo.
Nel caso in questione la moglie offriva al Tribunale circostanze e presunzioni circa sia l’ inattendibilità di quanto ufficialmente dichiarato dal coniuge sia circa la sussistenza di altri introiti a nero dei quali anche in passato aveva beneficiato la famiglia e che avevano migliorato esponenzialmente il suo tenore di vita.
Si ricorda che nel giudizio di divorzio il riferimento al tenore di vita è diventato potenziale e non ha quindi rilevanza come in passato, nel mentre permane in vigore ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento nei giudizi di separazione.
Chiedeva la ricorrente, quindi, al fine di quantificare nella misura corretta l’assegno di mantenimento per sé ed i figli, accertamenti tramite la polizia Tributaria ma anche ordini di esibizione, esemplificativamente agli istituti di credito, onde accertare il consistente patrimonio mobiliare del coniuge ed il suo elevato tenore di vita, stridente con quanto dichiarato al Fisco.
Il Tribunale, prima, e la Corte di appello, poi, quantificavano l’assegno di mantenimento sulla base delle dichiarazioni dei redditi ufficiali del marito e degli altri documenti di prova offerti dal medesimo.
Rigettavano ogni richiesta istruttoria volta ad accertare quanto percepito “in nero”.
Venivano, quindi, negate le indagini di polizia tributaria ed ulteriori approfondimenti istruttori mediante ordini di esibizione, escludendo anche il ricorso alle presunzioni gravi, precise e concordanti sull’erroneo presupposto “che le eventuali entrate sottratte alla imposizione fiscale non potessero costituire parametro di riferimento del tenore di vita familiare”.
E ritenendo superflue le indagini sulla base di quando già acquisito agli atti.
Il principio che ha ispirato la Corte di Appello si può così riassume “L’eventuale disponibilità in passato di entrate sottratte al fisco di cui il nucleo familiare abbia beneficiato non potrà essere presa come parametro per il tenore di vita svolto dal nucleo familiare”.
La moglie ricorreva in Cassazione evidenziando che l’applicazione dell’erroneo principio per cui i redditi non dichiarati non possono essere considerati ai fini della determinazione dell’ assegno, abbia “comportato uno sbarramento istruttorio che ha prodotto il risultato di un appiattimento sulle risultanze fiscali impendendo l’ingresso nel processo di elementi rilevanti ai fini della ricostruzione dell’effettivo tenore di vita familiare”.
La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso sancendo degli interessanti principi di diritto ed in qualche modo intervenendo anche sulla non buona prassi di concedere da parte dei nostri Tribunale molto di rado le indagini a mezzo della polizia tributaria, a volte anche sorvolando su elementi e circostanze offerte dalla parte che fanno emergere la necessità di indagini più approfondite e di frequente motivando i propri provvedimenti con “non sono consentite indagini esplorative come quelle richieste dal coniuge”.
“In tema di separazione giudiziale dei coniugi, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e dei figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza dei coniugi a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, assumendo pertanto rilievo anche i redditi occultati al fisco, all’accertamento dei quali l’ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria.
Nei giudizi di separazione giudiziale dei coniugi, il potere di disporre indagini della polizia tributaria.. costituisce una deroga alle regole generali sul riparto dell’onere della prova, il cui esercizio è espressione della discrezionalità del giudice di merito che, però, incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all’incompletezza o all’inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo. In tali casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell’assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini”.
Giù la maschera ai “Furbetti”!
Cinzia Petitti è avvocato e direttore della rivista www.Diritto§Famiglia.it