La politica italiana ricorda una storiella ebraica. Di sabato, quando la legge religiosa proibisce qualsiasi attività, un ebreo osservante trova un portafoglio per terra e non può raccoglierlo. E… miracolo! Tutto intorno è sabato ma lì, solo lì, è venerdì. In Inghilterra il Labour chiede di convocare anticipatamente il Parlamento per discutere della bolletta energetica delle famiglie. In Germania si fanno ormai piani dettagliati di razionamento pesante del gas. In Francia la preoccupazione per le prospettive è altissima. In Italia è venerdì. Il ministro dice che tutto va bene e le forze politiche in campagna elettorale ne alludono solo.
Eppure le previsioni per l’inverno virano sul nero. Gli effetti della crisi geopolitica mondiale si cominciano a sentire. Tra i costi esplosivi dell’energia e una recessione incipiente, le previsioni sulla crescita dovranno essere riviste al ribasso. Salari e redditi fissi saranno gravemente intaccati da disoccupazione, inflazione e bollette.
Si ha come la sensazione che i politici pensino che si possa affrontare tutto con qualche toppa, tanto i soldi del Pnrr ci sono. Non è così, la guerra e le restrizioni connesse hanno cambiato il quadro. Solo prendendo in esame il cambiamento tra l’inverno del 2021 e il possibile inverno 2022, possiamo capire cosa ci aspetta. Facciamo un riepilogo. È poco noto che l’idea politica sottostante al Recovery Fund, in realtà, precede la pandemia. Il 17 dicembre 2019 esce sull’Handelsblatt un articolo a firma di Harald Benink della Tilburg University, in cui si suggerisce che invece di cercare di imporre all’Italia riforme liberali sotto minaccia di default (Monti), bisogna indurla a farle sostenendola. Con le parole dell’autore: «Bastone e carota».
Ciononostante, fino al lancio del Recovery Fund nel maggio 2020, da parte di Macron e Merkel, nei primi mesi dell’epidemia la fazione “austera” (Belgio, Olanda) proponeva aiuti all’Italia per poche decine di miliardi per mezzo del Mse. L’Mse implica la sorveglianza rafforzata da parte dei suoi funzionari che possono aprire a discrezione una procedura per l’arrivo della Trojka. In una situazione in cui il deficit esplode per fare fronte ai bisogni sanitari ed economici della popolazione per via della pandemia, il rischio era altissimo. Ma nel frattempo c’era stata una svolta.
Il 23 marzo, Draghi scrive una lettera al Financial Times dicendo che la situazione eccezionale richiede strumenti eccezionali e si dichiara a favore di un ampio indebitamento per affrontarla. Si giunse così all’approvazione del Recovery, poi ridenominato Ngeu. E poi alla presentazione dei progetti e ai primi finanziamenti. Per cui la situazione alla fine del 2021 pareva positiva. La crescita era stata del 6,6% e ci si poteva aspettare, data l’entità dei fondi, due tre anni di crescita al 3-4%. Ci si poteva aspettare, inoltre, che oltre agli investimenti del Ngeu, altri investimenti privati venissero stimolati. Non mancavano problemi.
La ripresa dopo lo shock iniziale mostrava strozzature mondiali che avevano fatto partire l’inflazione, rafforzata da speculazioni mondiali sulle materie prime. In Italia erano esplose crisi occupazionali e di livelli salariali. Ma problemi che, in un quadro espansivo, avrebbero potuto essere affrontati. Ma il danno, rispetto all’inverno 2021, della crisi geopolitica ed energetica, non si limita a una revisione in basso della crescita, bensì consiste nella cancellazione dello stesso quadro espansivo. Le previsioni di due-tre anni di crescita abbastanza sostenuta potevano far sperare di sbloccare l’Italia da una stagnazione ormai strutturale. Ma i venti di guerra e la crisi energetica fanno esplodere l’incertezza e, con questa, svaniscono le prospettive di un ciclo di investimenti abbastanza ampio. I problemi, pur gravi, che si sarebbero potuti affrontare in un quadro espansivo, dovranno essere affrontati in uno nuovo di bassa crescita se non di recessione. I fondi del Ngeu dovranno in parte essere spesi per misure tampone. E poi?L’emergenza epidemia ci ha portato il NGEU. L’emergenza crisi geo-politica ci obbligherà a riscriverlo. Di tutto questo non c’è traccia nella nostra campagna elettorale. E così mentre Macron, parlando del futuro, parla di «forza d’animo» e di «prezzi da pagare», i nostri politici parlano come se ci fossero in giro portafogli da raccogliere. Perché, si sa, qui è venerdì.
Gabriele Pastrello è professore di Storia del pensiero economico all’università di Trieste
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